La dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva

Negli ultimi decenni stiamo assistendo ad una  vorticosa evoluzione sociale nella quale la nascita di una coppia e/o di una famiglia, si è trasformata  radicalmente. Nel 2003 Zygmunt Bauman psicologo e sociologo polacco  ha coniato l’espressione di “società liquida” nella quale nuovi figli e nuovi partner si confrontano in combinazioni talora inusuali e certo inimmaginabili agli inizi dello scorso secolo.

Attualmente, la struttura di parentela in quanto tale, nella famiglia e dunque nella coppia è relegata sullo sfondo poiché in primo piano c’è l’aspetto affettivo della relazione, ovvero  la piena soddisfazione dei partner.

Il bisogno  degli esseri umani di garantirsi la vicinanza e la disponibilità affettiva di una persona significativa, così ben illustrato dalla teoria dell’attaccamento, rappresenta uno dei temi principali che coinvolto il dibattito scientifico negli ultimi decenni (Fonagy, 2001; Lichtenberg, Lachmann e Fosshage, 2010).

Dagli studi di psicologia del ciclo di vita emerge come anche nei partner adulti sia possibile osservare un funzionamento per molti aspetti equivalente  a quello delle relazione madre-bambino.

Rholes, Simpson, Zeifman e Hazan,  hanno individuato alcuni indicatori responsabili della regolazione del sistema d’attaccamento nell’individuo: il primo riguarda la percezione di situazioni di minaccia e consente che si attivi il sistema comportamentale dell’attaccamento; il secondo fa riferimento alla percezione della disponibilità e responsività della figura d’attaccamento. 

Quest’ultima si articolerebbe in maniera diversa a seconda dei casi e determinerebbe la sicurezza o insicurezza del soggetto: nel primo caso, la persona «sicura» percependo la disponibilità dell’altro, si sente libera di impegnarsi in altre attività che la possono riguardare; nel secondo caso, il partner viene percepito come insensibile ed il senso di «insicurezza» può esitare in due tipi di situazioni – un’iperattivazione o una disattivazione delle strategie di regolazione affettiva – a seconda di quanto sia gradita/ricercata la vicinanza dell’altro (Mikulincer e Shaver, 2003).

Pertanto  le persone «insicure» che avvertono un forte bisogno di vicinanza con il proprio partner (ossia quelle con un stile di attaccamento «ansioso»), mettono in atto strategie di iperattivazione, caratterizzate da ipervigilanza e continua espressione di paure, bisogni e dubbi; le persone che non tollerano molto la vicinanza (con un attaccamento «evitante») mettono in atto strategie di disattivazione, basate sul distanziamento e sul ritiro.

Gli studi sull’attaccamento romantico hanno inizialmente seguito la tesi avanzata da John Bowlby, la cosiddetta ipotesi prototipo, che presupponeva che le relazioni sentimentali significative e durature potessero essere concepite come un processo d’attaccamento, mettendo in luce il ruolo che le relazioni della prima infanzia possono avere nel predire il futuro «successo» di una relazione di coppia.

È infatti il concetto di «Modello operativo interno» (Bowlby, 1969), termine che si riferisce all’insieme di rappresentazioni relative al funzionamento ed al significato delle relazioni d’attaccamento, uno degli elementi fondamentali per comprendere alcune delle questioni approfondite dagli autori che studiano i legami d’attaccamento nel contesto delle relazioni sentimentali tra adulti (Bretherton e Munholland, 2008).

I MOI possono, infatti, essere considerati come una «base di conoscenza» grazie alla quale è possibile assimilare le esperienze successive riferendole a questi schemi tendenzialmente stabili, favorendo così una costanza che garantisce una maggiore efficienza, a fronte di un minore impegno attentivo; al tempo stesso, nella sperimentazione di nuovi legami affettivi, è possibile, se necessario, adeguarli e quindi revisionarli in un processo di adattamento che implica una relativa plasticità.

Ciò rimanda ad un quesito di fondo presente nella ricerca e che potremmo sintetizzare così:

a) i MOI influenzano il modo con cui noi scegliamo il partner portando ad una conferma degli schemi relazionali interni: ipotesi della continuità;

b) i MOI possono essere rivisti sulla base delle esperienze all’interno delle relazioni intime successive: ipotesi della discontinuità.

Un’evoluzione nella ricerca odierna degli studi sull’attaccamento adulto è costituita dalle riflessioni sulla natura duale dell’attaccamento di coppia e in questa direzione Susan Johnson (2009) ha più volte messo in evidenza che mentre la Cultura Occidentale ha considerato la dipendenza come patologica e ha esaltato il senso di separatezza e autosufficienza, al contrario, parafrasando Winnicott, potremmo dire che non esiste una cosa come una completa indipendenza o una dipendenza eccessiva. C’è, in altri termini, soltanto una dipendenza efficace o inefficace e la salute psichica potrebbe essere considerata come la capacità d’impegnarsi in relazioni di dipendenza reciproca (Winnicott, 1965), tema sicuramente condiviso da Bowlby.

Fisher e Crandell in questa direzione (Fisher e Crandell, 2001) parlano d’attaccamento complesso per indicare la natura duale dell’attaccamento di coppia ed anche la bidirezionalità della dipendenza reciproca che caratterizza le relazioni sentimentali tra adulti.

Gli autori sottolineano che nelle relazioni di coppia ciascun partner agendo come figura d’attaccamento, può, almeno sul piano ideale, tollerare l’ansia d’essere dipendente dall’altro e anche di essere l’oggetto della dipendenza dell’altro. Fisher e Crandell si sono domandati se i modelli rappresentazionali di attaccamento possano anche influenzare e/o riflettere la qualità delle relazioni di coppia nella vita adulta, ipotizzando che stati sicuri della mente in relazione all’attaccamento in infanzia siano collegati ad una capacità di reciprocità nella relazione di coppia, mentre stati della mente insicuri sarebbero collegati a posizioni fisse e a modelli relazionali rigidi.

Hanno, quindi, descritto i vari possibili matching delle diverse tipologie (eccetto che per il gruppo irrisolto) emerse nell’AAI di ciascun partner.

1) attaccamento di coppia sicuro: in cui entrambi i partner si spostano liberamente da una posizione dipendente a quella di essere oggetto di dipendenza dell’altro, esprimendo apertamente il bisogno di conforto e contatto, come pure quello di accoglienza del contatto, segnalando un equilibrio dei due aspetti nell’individuo e nel sistema.

Questo matching sarebbe quello idealmente ottimale nel senso che può corrispondere a quello che si può chiamare un modello di equilibrio intermedio (Clulow, 2009) che può essere interpretato come l’individuazione di una vicinanza psichica che non sia troppo lontana, come nella strategia distanziante che determina inibizione o ritiro, né troppo intrusiva ed involving, come nella strategia preoccupata che implica una forma di ipervigilanza, ma che invece possa esprimersi in una sensibilità moderata in cui livelli intermedi di coordinazione sono predittivi di un attaccamento sicuro, ossia di un’intersoggettività ottimale (Santona e Zavattini, 2009).

Questo aspetto dovrebbe manifestarsi secondo quella che potremmo chiamare una reciprocità flessibile (Crowell e Waters, 2005), che indica la possibilità di uno scambio complementare delle funzioni di protezione e sostegno emotivo, aspetto che costituisce l’elemento più caratteristico dell’attaccamento in età adulta differenziandolo dal legame di tipo asimmetrico tra bambino e caregiver nell’infanzia

2) attaccamento di coppia insicuro, che può essere: attaccamento di coppia distanziante/distanziante: in cui entrambi i partner negano i sentimenti di dipendenza e vulnerabilità; attaccamento di coppia preoccupato/preoccupato: in cui i partner esprimono sentimenti costanti di deprivazione ed una convinzione reciproca che l’altro non potrà mai soddisfare il bisogno di conforto; attaccamento di coppia distanziante/preoccupato: in cui il partner preoccupato si sente cronicamente deprivato ed abbandonato, mentre il partner distanziante appare infastidito dai bisogni di dipendenza dell’altro, conducendoli ad una dinamica del tipo inseguitore-distanziatore spesso foriera di relazioni di tipo altamente conflittuale.

Quest’ultimo matching, nell’esperienza dei due autori presso la Tavistock Clinic di Londra, viene considerato il più frequente nelle psicoterapie di coppia quello, cioè, in cui un partner ha un modello d’attaccamento Distanziante-svalutante e l’altro un modello d’attaccamento Preoccupato, per cui il partner distanziante evita di essere dipendente e minimizza l’importanza del legame e il partner preoccupato sentendosi cronicamente deprivato ed emotivamente abbandonato esaspera l’importanza della prossimità psichica e la richiesta di rassicurazione sul piano degli affetti.

3) attaccamento di coppia sicuro/insicuro: la presenza di un partner sicuro, grazie capacità di assumere sia le posizioni di dipendenza, sia di essere l’oggetto di dipendenza da parte dell’altro, potrebbe offrire un’esperienza emozionalmente correttiva al partner insicuro che, in questo modo, potrebbe riuscire a comportarsi in modo più flessibile e bilanciato. Ad esempio, potrebbe sfidare la tendenza dell’individuo preoccupato a porsi nella posizione dipendente e quella del distanziante a non assumere nessuna posizione. D’altra parte, in determinate circostanze, il soggetto sicuro potrebbe, invece, diventare più rigido ed inflessibile nel soddisfare le tendenze del partner insicuro.

Su queste premesse possiamo pensare che il presente sia influenzato dall’incontro delle strategie di regolazione delle emozioni desunte dalla storia personale dei due partner e che particolare importanza debba essere data al modo in cui i modelli rappresentazionali dei partner <<si incastrano>> tra loro (Velotti e Zavattini, 2008).

In questa direzione la qualità della relazione di coppia va intesa come un joint product dei modelli o degli stili d’attaccamento di entrambi i partner, nel senso che il modello d’attaccamento sarebbe una variabile mediatore che incide sulla qualità della relazione di coppia, un filtro tra la percezione non solo di sé e dell’altro, ma anche della relazione in quanto tale com’è emerso in numerose ricerche sulla tipologia del matching e sulla qualità della soddisfazione di coppia come abbiamo sopra accennato.

Nel secondo punto di vista, accanto all’ipotesi di un riprocessamento continuo delle rappresentazioni di sé o delle relazioni connesse alle esperienze infantili, si ritiene che il contesto di coppia costituisca di per sé un nuovo ambiente di accudimento che può portare allo sviluppo di una rappresentazione d’attaccamento differente da quella infantile.

In questa lettura, oltre al ruolo delle passate esperienze infantili, si considerano le varie esperienze «amorose» come contesti nei quali, pur agendo schemi precedenti, è possibile che si acquisiscano nuove modalità relazionali che, tuttavia, possono mettere in discussione il precedente modello operativo l’accento sulla funzione regolatrice delle emozioni nell’attaccamento, è stata avanzata l’ipotesi di analizzare quali siano le oscillazioni esistenti nel corso delle interazioni tra partner adulti tra i due poli di vicinanza e distanza emotiva riprendendo i concetti di contatto, rottura e riparazione elaborati proprio nel contesto dello studio delle interazioni tra bambino-caregiver (Siegel, 2003; Tronick 2005).

In questa prospettiva gli autori ipotizzano che sia la capacità di riparazione degli errori interattivi il processo centrale nelle interazioni tra partner, caratterizzate naturalmente da episodi di «rottura» del contatto affettivo, a cui seguono momenti «riparativi» accompagnati, dunque, dal ripristino del contatto; sarebbe questo andamento a dare ai membri della diade la percezione complessiva della loro «intesa» e la conoscenza procedurale implicita del senso del loro legame (Zavattini, 2008).

Su questi presupposti, potremmo avanzare l’ipotesi che alcune relazioni potrebbero essere caratterizzate da pattern tesi a minimizzare o a tollerare in modo passivo le rotture, sia per l’incapacità di segnalare le situazioni di perdita del contatto affettivo sia per l’incapacità di «affrontare « la fase di rottura ed il suo correlato emotivo.

I processi che mirano a guadagnare un equilibrio emotivo, a ri-connettere  emotivamente (Beebe e Lachmann, 2002) la coppia sono, tuttavia, fortemente legati sia alle competenze individuali dei partner nel regolare i propri stati emotivi (storia passata), sia alla capacità – propria della coppia – di tollerare gli stati di disconnessione (storia presente).

Nella comprensione di questo processo il focus si è spostato dall’individuo alla coppia come unità di osservazione, ovvero al processo co-costruito all’interno della dinamica intersoggettiva dei partner. Nella coppia si affinerebbe il repertorio di strategie specifiche adottate da un partner nei confronti dell’altro, caratterizzando in modo funzionale – o disturbato –, il modello relazionale condiviso che ciascuno di essi costruisce con l’altro. Tale processo negli esseri umani implica il coinvolgimento reciproco di due menti o, per essere più precisi all’interno del paradigma dell’attaccamento, il coinvolgimento di due strategie di regolazione delle emozioni, in cui la soggettività di un individuo cresce e si forma confrontandosi in un complesso lavoro di scanning degli stati mentali di sé e dell’altro.

Conclusioni

La teoria che si basa sul pensiero di John Bowlby è diventata negli ultimi decenni un patrimonio comune della cultura psicologica, costituendo il punto di partenza di un numero imponente di ricerche in cui, accanto all’analisi della dimensione comportamentale e rappresentazionale, si è imposta quella della regolazione delle emozioni, sia associata alla qualità dell’attaccamento dell’individuo sia come processo bidirezionale sotteso alla costruzione, sviluppo e trasformazione dei legami nell’arco di vita.

Va precisato che all’interno della teoria dell’attaccamento vi è stata, infatti, un’evoluzione (Carlson e Sroufe, 1995) che ha più sottolineato il tema del «sentirsi sicuri» piuttosto che quello della regolazione della distanza fisica permettendo di riconcettualizzare la teoria dell’attaccamento in termini di regolazione affettiva. Ne emerge una concezione che mette in primo piano il ruolo fondamentale delle aspettative relative al porsi in relazione con gli altri e non l’idea dell’uomo come organismo teso alla ricerca della soddisfazione (drive model).

In questa direzione gli studi sull’attaccamento adulto hanno sempre più posto l’accento sulla natura duale del legame di coppia spostando in parte il focus del dibattito dal ruolo del passato a quello del presente sottolineando la necessità di comprendere non solo l’uso dell’altro, ma anche l’uso della relazione. Ciò riguarda non solo la ricerca, ma anche la teoria dell’intervento nel lavoro clinico con le coppie, che potrebbe essere visto o in senso più ricostruttivo leggendo il presente come il contesto in cui si cerca tramite la relazione a due di risolvere o riparare gli aspetti irrisolti della propria storia personale, oppure la relazione sentimentale attuale, può essere considerata più come espressione delle disconnessioni tra due strategie di relazione (Santona e Zavattini, 2009; Castellano, Velotti e Zavattini, 2010; Zavattini et al., 2010). Rispetto alla ricerca sull’attaccamento adulto possiamo, quindi, sintetizzare alcuni aspetti di fondo che costituiscono anche quesiti rilevanti:

– il ruolo delle relazioni interpersonali: vi è un sempre maggiore consenso, sostenuto dai dati di ricerca verso una lettura che fa dell’intersoggettività un costrutto di base per comprendere le dinamiche del sistema bambino-genitori e la costruzione, sviluppo e trasformazione dei legami nell’arco di vita (Bordi, 1995; Target, 2005). I processi interni e quelli interattivi sono quindi oggi da considerarsi separatamente enella loro interdipendenza e capacità di «costruire congiuntamente» le realtà intrapersonali e la stessa interazione: è ciò che Beebe e Lachmann (2002) chiamano «co-constructing interactions».

– La patologia relazionale: i legami d’attaccamento in età adulta dovrebbero assolvere le stesse funzioni di base che esplicano in età evolutiva, ossia «il mantenimento della prossimità», la «protesta alla separazione», la «base sicura» e il «rifugio sicuro» e si esprimono nelle relazioni sentimentali caratterizzate da un impegnoe da un durevole coinvolgimento.

La ricerca sull’attaccamento adulto ha sottolineato che tale legame dovrebbe essere considerato come un «costrutto relazionale». Queste funzioni dovrebbero manifestarsi secondo quella che potremmo chiamare una reciprocità flessibile, che indica la possibilità di uno scambio complementare delle funzioni di protezione e sostegno emotivo, aspetto che costituisce l’elemento più caratteristico dell’attaccamento in età adulta differenziandolo dal legame di tipo asimmetrico tra bambino e caregiver nell’infanzia.

Su questi presupposti la patologia relazionale può essere letta come un fallimento del processo di sintonizzazione per cui se da un lato le relazioni di attaccamento possono favorire lo sviluppo di processi adeguati alla regolazione degli stati affettivi, dall’altro lato, come accade nell’attaccamento traumatico e nelle situazioni di incuria ed insensibilità, vi può essere un disconoscere le necessità di regolazione.

Nel secondo caso, le esperienze evolutive costituiranno strutture che custodiscono la memoria di questi fallimenti, sia sul piano dei contenuti che dei processi esprimendosi sia nell’incapacità di mettere in discussione schemi ripetitivi – costante relazionale negativa – (Seganti, 1995; Norsa e Zavattini, 1997) non consentendo di disgregare i modelli previ in modo adattivo (Beebe e Lachmann, 2002), sia nella costruzione di relazioni di coppia in cui non si riesce a tollerare gli stati di disconnessione mettendo in atto la capacità di recuperare uno stato di sintonizzazione e coordinamento (Siegel, 2003; Purnell, 2004; Zavattini e Velotti, 2011).

In questo senso la salute psichica nella coppia potrebbe essere considerata come la capacità d’impegnarsi in relazioni di dipendenza reciproca, così come la psicopatologia può essere vista in una dipendenza insicura temi magistralmente messi in evidenza dagli studi sulla Strange Situation e dalla gran mole di dati sull’attaccamento adulto.

I modelli classici, come già osservato, hanno invece come «patologizzato» il concetto di dipendenza ed esaltato quello di separatezza e di self-sufficiency, mentre Bowlby ha messo in evidenza come poter riconoscere il dipendere affettivamente da un altro non sia solo un tratto di fondo degli esseri umani che va al di là dell’infanzia, ma anche l’espressione di un attaccamento Sicuro.

– Cosa cambia nella teoria dell’intervento: l’elemento che, a nostro avviso, probabilmente rappresenta il contributo più significativo dell’Adult Attachment Interview (Main, Kaplan e Cassidy 1985) alla ricerca sullo studio dei processi mentali anche per la clinica è lo spostamento del focus d’attenzione dall’analisi del contenuto – cosa è successo – alla coerenza. Ciò che è saliente non è, in altri termini, il contenuto di ciò che viene raccontato, ma come lo si racconta, nel senso che è assai più importante valutare se la struttura narrativa della propria storia sia «coerente» (nei termini delle massime di collaborazione comunicativa di Grice), piuttosto che se nell’infanzia siano avvenute, o meno, situazioni difficili e dolorose.

Parimenti nel lavoro con le coppie lo scenario creato dal particolare setting di coppia, quello cioè in cui si è in presenza del partner reale, offre la possibilità non solo di utilizzare l’insight, ma anche di mettere i membri della coppia in condizione di potere fare esperienza di alcuni aspetti della propria soggettività che sono stati dissociati ed affidati alla relazione (Albasi, 2006). Come scrive, infatti, Wallin nel suo saggio intitolato Psicoterapia e teoria dell’attaccamento: «ciò che i pazienti non possono spiegare chiaramente a parole tende ad essere evocato, messo in atto o incorporato» (Wallin, 2007).

L’obiettivo terapeutico deve essere inteso non solo come la possibilità per ogni partner di riconoscere le proprie proiezioni, scoprire come questi aspetti di sé siano sentiti e quanto siano tollerabili, in modo da favorire un Sé autonomo, più integrato e coerente, ma anche potere comprendere e sperimentare quali schemi siano stati «messi in scena « nella relazione e come essa venga usata reciprocamente (Clulow, 2009; Zavattini, 2010a).

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