Coronavirus: come risponde il cervello ad un trauma globale?

Il distanziamento sociale e la separazione sono una parte importante di ciò che è necessario per affrontare la pandemia di coronavisrus. In questo articolo, parliamo di come ridurrei loro effetti: il nostro sistema nervoso sente il bisogno di entrare in relazione con l’altro ed è importante avvertire questo impulso e cercare di gratificarlo.

Non c’è dubbio che il Coronavirus sia un rischio per la salute, è reale.

 La domanda è collegata al modo in cui dobbiamo comportarci per ridurre tale rischio attraverso l’isolamento sociale. E questa strategia crea un paradosso straordinario per il nostro sistema nervoso e le nostre necessità di interagire con altre persone perché, in quanto esseri umani, abbiamo un forte bisogno di connetterci e di relazionarci con gli altri, ma ora ci viene detto che non è la cosa giusta da fare. Ci sono delle priorità e la massima priorità è quella di non infettarsi, ma c’è anche la priorità di comprendere i bisogni del nostro sistema nervoso.

 Quindi, questa è una situazione controintuitiva in cui non possiamo fidarci del nostro istinto, istinto evolutivo, perché dobbiamo fare qualcosa di diverso. Qualcosa che non derivi dalla coercizione, ma in realtà dalla comprensione che l’isolamento sociale è richiesto a questo punto.

Il paradosso attraverso il quale il nostro sistema nervoso sta cercando di navigare è:  dobbiamo isolarci socialmente, tuttavia, il nostro sistema nervoso dice: “Ehi, non è così che ci siamo evoluti, non è come dobbiamo essere”. 

Ora dobbiamo sapere quali sono le vere priorità. La massima priorità ovviamente è rimanere in vita. Ma come possiamo mitigare la richiesta, la richiesta del sistema nervoso di connetterci con l’altro? Dobbiamo trovare il modo di relazionarci! Le videochiamate o gli sms/ chat ecc sono strumenti prezionsi, ma la possibilità di ascoltare la voce di qualcuno o vedere il suo viso è un potente segnale che rassicura il nostro sistema nervoso. È straordinario perché il mondo è passato da un mondo sociale a un mondo isolato in una settimana.

Dobbiamo davvero prenderci cura di noi stessi e monitorare davvero il bisogno dei nostri corpi di connettersi, dare agli altri un abbraccio, sorridere, essere rassicuranti, toccarli sulle loro spalle o sulle loro mani, per far loro sapere che noi siamo qui per sostenerli e stare con loro. Quello che ho notato negli ultimi tempi è che i miei amici più cari hanno mi raggiunto attraverso le videochiamate, note vocali,chat ecc. solo per relazionarsi. È davvero un bel momento in cui le persone cercano di dire, sono qui. Come stai? Cosa posso fare per te?

Quindi, non soffochiamo l’impulso di connetterci, cerchiamo di canalizzarlo e assaporiamolo quando troviamo il modo di farlo attraverso la voce e la vista, proviamo a leggere sentimenti nel nostro corpo. 

E i nostri sentimenti fisici vogliono essere abbracciati, vogliono essere al sicuro con le persone di cui ci fidiamo. Questo è fondamentalmente un circuito neurale che si st attivando. Stiamo davvero dicendo a quel circuito neurale: non possiamo farlo ora.

Se non coinvolgiamo le persone per un certo periodo di tempo, entriamo in un altro stato. Cioè, diventiamo emarginati e iniziamo a diventare troppo isolati. E questo è davvero dannos per il nostro sistema nervoso. Il nostro corpo reagirà a questo con una propensione alla negatività. Questo è l’altro problema. Mentre ci separiamo, le nozioni di essere eccessivamente preoccupati, nevrotici o paranoici sulla situazione aumenteranno perché non stiamo ottenendo sufficienti opportunità di autoregolazione attraverso l’interazione con l’altro.

Quindi, essendo intelligenti, dobbiamo raggiungere e usare gli strumenti che abbiamo. Internet è uno strumento utile. Attraverso la videoconferenza, possiamo parlare, possiamo sentire le voci degli altri e possiamo sentirci connessi. Ancora una volta, non equivale ad essere nella stanza con una persona, ma è molto meglio che non avere alcun contatto.

Quindi, quando comunichiamo in questo modo, c’è un’intenzionalità nella comunicazione che non riguarda solo il contenuto. La comunicazione riguarda la reciproca autoregolazione emotiva che si attiva quando siamo ci sentiamo sintonizzati con l’altro e con il suo vissuto emotivo. È quel senso di connessione che gratifica il nostro bisogno di sicurezza.

Infatti non sono le parole, è l’intenzionalità dei sentimenti che stiamo comunicando tra noi e l’altro. Stiamo promuovendo un processo autoregolazione reciproca dello stato fisiologico, emotivo e comportamentale. Mentre ci regoliamo reciprocamente, ci sentiamo più sicuri nello spazio e nel tempo in cui ci troviamo. Diventiamo più generosi con gli altri, più accoglienti e più accessibili.

Al contrario, man mano che ci isoliamo, i nostri sistemi nervosi attivano un meccanismo di difesa. Tuttavia possiamo rivendicare o riformulare cos’è l’isolamento. In questa situazione è una difesa, ma non vogliamo che si consolidi per renderci difensivi nelle nostre interazioni con gli altri. Per evitarlo, è necessario utilizzare gli strumenti a nostra disposizione e coinvolgere gli altri: la nostre voce e le nostre espressioni facciali.

È molto meglio che inviare SMS o e-mail, poichè utilizzandoli stai togliendo la connotazione emotiva espressa dalla voce e dal viso. Il nostro sistema nervoso si è evoluto per rilevare l’intonazione vocale. Attraverso un lungo periodo di evoluzione il nostro sistema nervoso è stato in grado di creare il linguaggio, creare la sintassi ed estrarre significato dai simboli. Quindi vogliamo relazionarci l’un l’altro a un livello molto quasi primitivo.

 E così, forse, possiamo anche fare un passo successiva, mentre siamo in comunicazione, prestiamo consapevolmente attenzione a ciò che sta accadendo nel nostro corpo. Comunicare con l’altro che ciò che stiamo facendo non è solo scambiare informazioni, ma il processo di autoregolazione emotiva. Ad esempio, mentre parliamo, sento che la mia energia sta diminuendo un po’. Mi sento più stabile, provo un senso di assestamento e radicamento.

In altre parole, mi sento connesso. E quello che stai davvero descrivendo è un processo di un coregolazione affettiva. Infatti in questi casi utilizziamo termini come: rispecchiamento, sintonizzazione, sincronizzazione.

In realtà si tratta di autoregolazione emotiva, e quello che stavi facendo era riconoscere i tuoi sentimenti e, al tempo stesso, monitorare e riconoscere i sentimenti della persona con cui stai parlando. Quindi stai letteralmente raggiungendo la sua sfera, la sua coscienza, il suo sistema nervoso. E stai davvero dicendo: sono presente. Sono qui con te.

L’impatto del Coronavirus ha causato cambiamenti e caos per la maggior parte di noi in tutto il mondo, sia che ci siamo ammalati o che conosciamo qualcuno che lo è sia che abbiamo apportato cambiamenti significativi nello stile di vita al fine di contenere il contagio. Abbiamo appreso come i virus si moltiplicano in modo esponenziale, abbiamo assistito alla chiusura di scuole e aziende e abbiamo osservato come gli ospedali si riempivano e le apparecchiature di protezione si esaurivano. D’altro canto stiamo assistendo ad un’esplosione di creatività, stiamo apprezzando il rallentamento della nostra vita frenetica e ci stiamo concentrando di nuovo sulla qualità della presenza all’interno delle nostre famiglie.

Nelle neuroscienze, è il “cervello dei mammiferi”, o cervello superiore, è quello che si rivolge a chi si prende cura di te quando sei in pericolo. Questa è la spinta verso “casa”, che si tratti dei tuoi stessi genitori o della tua famiglia prescelta. Questo è il motivo per cui i bambini – siano essi nostri figli o quelli di cui ci occupiamo – si rivolgono a noi per imparare a gestire una crisi, a regolare le lemozioni e sentire tutto ciò che accade nel mondo che ci circonda.

È il “cervello dei rettili”, o cervello inferiore, che ci dice di scappare dal pericolo. Questo è ciò che ci aiuta a ricordare di lavarci le mani. Questo è ciò che ci rende abbastanza forti da stare lontani da vicini, amici e familiari che ci mancano durante il distanziamento sociale. Questo è ciò che fa rabbia dentro di noi quando sentiamo storie di persone esposte, ammalarsi o così tante persone che muoiono.

Ci sono momenti nella vita in cui il cervello riceve entrambi i segnali in una sola volta, causando un conflitto che rende impossibile rispondere. Ad esempio, con l’abuso di minori, il cervello vuole rivolgersi all’adulto per sentirsi sicuro, ma il cervello vuole anche scappare dall’adulto che sta causando il pericolo.

Eppure il cervello sa che la sopravvivenza del corpo dipende dal fatto che l’adulto rimanga vivo perché sono solo un bambino, nonostante il pericolo sia presente.

Questo è un trauma, non solo quando ti fai male fisicamente, ma anche quando situazioni esterne non ti lasciano alcun modo per uscire da ciò che sta causando pericolo, oltre a non offrirti nessuna protezione da quel pericolo.

Per rendere le cose ancora più difficili, il cervello stesso non percepisce effettivamente il contesto, percepisce solo i segnali che riceve dal corpo e i neurotrasmettitori che lo attraversano.

Quindi a volte anche solo la percezione del pericolo, è sufficiente per dire al tuo cervello che sei in pericolo e iniziare una risposta al trauma.

Quando il tuo cervello riceve il segnale che sei in pericolo, una delle cose che fa è inviare un messaggio al nervo vago che va dal cervello a tutti gli organi principali (cuore, polmoni, ecc.). Poiché si dirama lungo il percorso, viene chiamato “nervo vago”. Questo è ciò che prepara il tuo corpo a rispondere al pericolo.

Quando viene attivata la risposta al trauma, il nervo polivagale invia segnali agli organi in modo da essere pronto a rispondere al pericolo. Non è possibile rilevare il pericolo e dopo decidere di rispondere e infine dire al proprio corpo di prepararsi.

Per sopravvivere, il tuo corpo deve essere già pronto a rispondere al pericolo non appena lo percepisce, in parole povere non abbiamo il tempo sufficiente di pensare, per questo il cervello comunica direttamente con il sistema nervoso autonomo.

Quando non sei in pericolo, significa che ti senti al sicuro e anche gli altri intorno a te si sentono al sicuro. Il tuo cervello lo rileva attraverso il tono della voce, il ritmo della conversazione e le espressioni facciali. Il tuo corpo li identifica come parte della modalità di sicurezza: il tuo stato d’animo è luminoso e la tua voce è modulata (sale su e giù in tono) e quindi ti senti calmo e socievole.

Ma quando senti che c’è qualche pericolo, o il tuo corpo lo percepisce, allora il nervo vago viene attivato e invia segnali ai tuoi organi, in modo da preparare il tuo corpo a rispondere a quel pericolo. Il tuo corpo non deve essere in pericolo reale – potrebbe essere solo un pericolo percepito – anche solo le espressioni facciali o il tono della voce di un’altra persona possono essere percepiti come un pericolo.

Quindi la tua espressione facciale diventa piatta e la tua voce diventa più monotona, e il tuo cuore e polmoni pompano sangue preparandosi a reagire. Questo è spesso il momento in cui si verificano gli attacchi di panico.

Se non riesci a sentirti di nuovo al sicuro rapidamente e ti senti ancora in pericolo, allora il tuo corpo pensa che la tua vita sia minacciata. Dato che non puoi allontanarti dalla situazione, ora il tuo corpo si attiva per combattere contro la fonte di pericolo. Questo è ciò che accade quando aumenta l’aggressività verbale, oppure senti la tensione nelle braccia e nelle gambe e non solo nel petto.

Se non puoi combattere, anche se è solo con qualcuno che discute meglio o diversamente da te – anche se non è opprimente o addirittura offensivo – il tuo corpo entra in modalità di spegnimento o “congelamento”. La tua mente si svuota. Fondamentalmente si dissocia. Non rispondi a niente.

Scendere lungo la “scala” – dalla sicurezza all’attacco/ fuga per combattere fino allo spegnimento – avviene sempre in questo ordine, anche se alcune fasi possono accadere più rapidamente di altre per alcune persone. E per tornare alla sicurezza, devi risalire la scala nello stesso ordine in cui sei sceso, quindi torna indietro per combattere (essendo disposto ad affrontare una situazione o qualcosa che stavi evitando o qualcosa che devi provare o fare diversamente) e poi fino alla fuga (allontanarsi da ciò che non è sano, ciò che non è sicuro, quali schemi non sono positivi o benefici per te) fino a quando non torni in sicurezza.

In questo momento, con l’esperienza COVID19 a livello globale, noi come individui (e come comunità) stiamo vivendo una risposta al trauma. Non c’è modo di “combattere” attivamente il virus stesso, e non c’è modo di sfuggire all’esperienza della pandemia (“fuga”). Ci colpisce in ogni area della nostra vita e ha influenzato tutte le persone che ci circondano. Nessuno è “sicuro” e anche tutti coloro che ci stanno intorno stanno rispondendo alla stessa esperienza. Il nostro cervello letteralmente scende nella risposta di “congelamento”.

È importante ricordare che tutti i tuoi sentimenti sono validi quando ti adegui a tutto ciò e ne senti l’impatto in molti modi. Tutto ciò che senti va bene e tutti i tuoi sentimenti sono normali. Ha senso il motivo per cui stai rispondendo come sei.

Potresti sentirti più stanco, lento o meno motivato durante la risposta di “congelamento”. Può essere difficile concentrarsi, prestare attenzione agli altri o completare compiti. Potresti essere ipervigilante in altri modi, come fissare schemi di piastrelle nel bagno o leggere danze sulle foglie all’esterno. Potresti avere difficoltà a concentrarti sulla conversazione, tollerare il rumore dei bambini o attenersi a qualsiasi tipo di routine. Potresti sentirti abbattuto dalla gravità, avere difficoltà a sorridere o dimenticare di ridere. Il tempo può diventare “scivoloso”, i giorni si confondono e le ore scompaiono. Potresti sentirti meno reale, o come se stessi guardando te stesso, o come se il mondo intorno a te fosse incredibile.

La parola per tutto questo è “dissociazione”, che è un continuum della risposta di “congelamento”.

Potresti anche provare alcune risposte dolorose per la perdita della normalità, la perdita della routine e soprattutto la perdita di contatto con gli amici. Potresti anche perdere la facilità con cui le cose erano accessibili mentre erano ancora date per scontate. Potresti desiderare la stabilità precedente che hai sperimentato dal tuo lavoro o da altre routine. Potresti sentirti in perdita senza la convalida di essere abbastanza occupato, fare abbastanza o abbastanza produttivo.

Quello che stai vivendo è una risposta al trauma: fuga, combattimento o congelamento.

Con la pandemia del COVID19, quella “lotta” potrebbe assomigliare a qualsiasi cosa, dall’irritabilità a un aumento della conflittttualità. la fuga potrebbe tradursi in comportamenti di evitamento, come leggere i post sui social media per ore alla volta, mangiare troppi cibi malsani invece di mantenere un’alimentazione equilibrata, troppo tempo a guardare la tv, isolarsi nel letto invece di interagire con gli altri che vivono con te, o disimpegnarsi da familiari e amici invece di trovare modi creativi per relazionarsi.  

“Congelare”, quindi, potrebbe sembrare di stare sotto le coperte invece di potersi alzare per la giornata, sentirsi assonnati o letargici, fissare lo spazio per lunghi periodi o aver bisogno di dormire di più o essere sopraffatti dalle attività mentre si tenta di lavoro da casa, o se devi ancora “andare” al lavoro, o se devi aiutare i bambini ad imparare da casa.

Ce ne sono anche altri, che potrebbero essere più adatti al tuo stile, oltre al semplice combattimento, fuga o congelamento:

Ad esempio quando ci sforziamo di essere molto coscienziosi, in modo da non essere infrangere mai le regole. Questo è un modo molto comune per i bambini con un trauma relazionale di comportarsi per non turbare il genitore. Succede spesso anche in situazioni di violenza domestica. Con il coronavirus, potrebbe sembrare troppo impegnativo lavarsi sempre le mani o restare eccessivamente al chiuso, nei casi in cui sei adeguatamente distante dagli altri e puoi rilassarti un po’a casa tua.

“Seguire” è quando ci sforrziamo di adeguarci alle situazioni nonostante il pericolo. In situazioni di abuso, si è indotti a fare ciò che l’abusatore dice di fare nella speranza che conformarti a lui ti protegga. Con l’arrivo del COVID19, sembra che alcune persone minimizzino il pericolo e si rifiutino di mettersi in quarantena, nel tentativo di evitare sentimenti di ansia o ammettere le proprie paure.

“Mettersi sulla difensiva” è quando rendiamo le nostre “barriere protettive” più alte e più forti per difenderci meglio di prima. Nei sopravvissuti agli abusi, questo può apparire come un’interruzione delle relazioni interpersonali o un aumento dei sintomi dissociativi. Può diventare una disconnessione sociale anziché una distanza sociale. Con l’arrivo del COVID19, alcuni potrebbe accumulare carta igienica o farmaci non sapendo in che modo trattare effettivamente il virus.

“Negazione/mistificazione” si verifica quando la storia viene modificata, quindi non è più spaventosa. Si trattadi una specie di negazione più che un tentativo di ingannare, sebbene l’inganno sia ciò che si verifica in autimatico. In situazioni di abuso, questo potrebbe tradursi in un bambino che sta inventa storie felici sui suoi genitori. Nelle esperienze di violenza domestica, ti sta dicendo che qualcuno ti ama, nonostante il modo in cui ti sta facendo soffrire. Nell’emergenza del coronavirus, si presenta quando le raccomandazioni di medici e scienziati vengono respinte o minimizzate.

Nessuno di queste modalità di reazione è sbagliato, sono risposte al trauma finalizzate all’adattamento. Il tuo cervello sta letteralmente cercando di recuperare l’elaborazione di ciò che ti sta accadendo. Ricorda che il tuo cervello non conosce il contesto. Conosce solo i segnali che riceve e i neurotrasmettori che circolano nell’organismo. In questo momento sono moltis timoli stressogeni con così tanti cambiamenti mentre ci proteggiamo da un virus che non possiamo effettivamente “vedere” (oppure combattere o allontanarci ).

Il tuo cervello può interpretarlo come “pericolo”, senza capire che stai facendo tutto il possibile per essere al sicuro e continuare a funzionare.

Senti tutto quello che c’è da sentire. Lascia che arrivi. Notalo Riconoscilo. Ma poi lascialo andare. Hai il potere di scegliere la tua risposta.

Tutti i tuoi sentimenti sono validi, ma i tuoi sentimenti non sono realtà. Ti danno solo informazioni su ciò che sta accadendo nella realtà. Ricevi le informazioni, ma poi autorizza te stesso a scegliere la tua risposta.

“Facilitare” è un modo di far fronte che ci autorizza per un cambiamento e una guarigione positivi, anche se in piccoli modi. Questo accade quasi sempre in connessione con gli altri, attraverso esperienze di sintonia in cui i tuoi bisogni emotivi vengono notati, riflessi e soddisfatti da persone sicure intorno a te. Ogni passo in questa direzione è importante , sia che si tratti di dire la verità sull’abuso (non sono i tuoi segreti da mantenere), sia di svincolarsi ai problemi tossici degli altri, o di non fondersi con i pensieri negativi su ​​te stesso o sulle interazioni negative con gli altri.

Sii gentile con te stesso. Concediti delle pause. Lascia riposare il tuo corpo. Potresti letteralmente essere esausto dalla risposta al trauma che si verifica nel tuo corpo, anche se non sei affatto malato. Connettiti con gli altri nei modi possibili. Sii sicuro e creativo nel tuo modo di fare. Ma fallo.

Fai dei respiri profondi e lenti per aiutare il nervo polivagale a ricordare al cervello che sei al sicuro. La pratica regolare del rilassamento muscolare progressivo contribuisce a rafforzare quei segnali al cervello, in modo che sappia che sei al sicuro e consapevole della situazione. Queste cose molto semplici che sembrano quasi banali fanno una grande differenza per il tuo cervello.

Trova il modo di ridere e sorridere, prova a farlo intenzionalmente fino a quando il tuo cervello non sa che sei al sicuro. Ma più sorridi e illumini il tuo stato d’animo, più si sentiranno sicure anche le persone sicure intorno a te. Poi inizieranno anche a sorridere e si sentiranno meglio, il che ti aiuta anche a sentirti meglio quando il tuo cervello lo nota. Sorridere fa una differenza da un punto di vista neurofisiologico.

Se ti senti come se fossi caduto da una scala, ha senso ed è proprio ciò che ti è accaduto, ma hai anche il potere di risalire di nuovo.

Fonte: Stephen W. Porges, Ph.D., eminente scienziato dell’Università dell’Indiana University, dove dirige il Trauma Research Center all’interno del Kinsey Institute. Ricopre il ruolo di Professore di Psichiatria all’Università della Carolina del Nord e Professore Emerito all’Università dell’Illinois a Chicago e all’Università del Maryland.

  Nel 1994 ha proposto la teoria polivagale, una teoria che collega l’evoluzione del sistema nervoso autonomo dei mammiferi al comportamento sociale e sottolinea l’importanza dello stato fisiologico nell’espressione dei problemi comportamentali e dei disturbi psichiatrici.


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